Lucia Bonazzi 

QUESTE COSE NON AVVENNERO MAI, MA SONO SEMPRE 
(Sallustio, Degli dèi e del mondo)

“Nel linguaggio simbolico le esperienze interiori vengono espresse come se fossero esperienze sensoriali, cioè come qualcosa che abbiamo fatto…” Così Eric Fromm scriveva all’inizio del suo saggio Il linguaggio dimenticato, la natura dei miti e dei sogni, nel quale accomuna diverse manifestazioni umane come i miti, i sogni, le fiabe e le opere d’arte, sulla scorta dei significati simbolici che portano. Non si tratta dei simboli convenzionali, inequivocabili e da tutti conosciuti, bensì di simboli universali, capaci di visualizzare, narrare e concretizzare il mondo psichico, un’esperienza interiore. Sarà per questo motivo che Bruno De Angelis attinge all’universo del mito, in particolare assiro-babilonese ed etrusco, che risveglia in lui risonanze profonde.

Grande Persepoli (2018), in cartone cuoio incollato a strati su legno compensato, evoca un luogo dell’anima, intimamente arcaico, che si concretizza in tasselli disposti secondo una metrica ascendente, musicale e continua, come se i merli a gradini delle mura di Ninive o della Porta di Ishtar a Babilonia prendessero vita e movimento. Fedele alla diagonale, cifra stilistica della sua obliquità esistenziale, De Angelis si affida alla forza del colore primario nella serie intitolata Tra il  cielo e la terra, monocromi di grande intensità emozionale, realizzati su cartoncino operato a pastello, anilina all’alcool, catramina, grafite. L’effetto bassorilievo è ottenuto mediante la sovrapposizione e l’incisione delle superfici, articolate tessiture che rispecchiano la stratigrafia dell’anima. Dal rosso corposo e terreno della Casa del cielo superiore, al giallo squillante della Casa del cielo inferiore fino al blu luminoso della Casa del cielo intermedio, l’opacità dei pigmenti ribadisce il carattere integrale dell’oggetto, il rifiuto di una dimensione edulcorata e compiacente.

Al mito era in origine affidata la funzione culturale di consolidamento dell’identità, creata e consolidata grazie alla ripetizione e alla variazione. L’oralità del racconto infatti permetteva a ciascun artista – narratore di modificare strutture, forme, dettagli, all’opposto di una trama fissa e immutabile. Così Verso Persepoli – Frammento n. 1 rilancia la creazione di un discorso germogliato con La seduzione del 1984, Verso Persepoli e Il banchetto del Faraone, entrambi databili 1988-90. Si trattava di opere nate dalla suggestione di reperti archeologici reali o immaginari, in virtù della loro potenza evocativa, rivisitati attraverso materiali contemporanei, come il poliuretano espanso o i pannelli termoisolanti. Accomunate dalla sobrietà, dall’esclusione del colore e dalla calibratissima composizione, quelle sculture manifestavano una propensione a quella “tendenza alla possibilità che è tipica della cultura contemporanea” (U. Eco), nella quale il fruitore partecipa alla costruzione del significato dei messaggi concettuali dell’arte, ricercati attraverso nuove forme e tecniche sperimentali.

Le sculture in lamiera di ferro come Io e lei e Instantané d’un mariage del 2019-20 vivono nello spazio come ombre mitiche, perturbanti o protettive, che appaiono mutevoli grazie alle superfici specchianti, ai piani sensibilizzati attraverso precise texture con valore luministico. Gli antenati di queste “presenze”, scaturite dall’energia mitopoietica di De Angelis, sono le figure recumbenti del Sarcofago degli sposi (Roma, Museo nazionale etrusco di Villa Giulia) e di analoghe sculture antiche, raffiguranti moglie e marito semidistesi sul letto triclinare, dediti al banchetto, in un’atmosfera di eterna intimità. Ritratto di architetto sumero con ziggurat contrappone la leggerezza della sagoma metallica, sottile, sinuosa e perforata da una sorta di scrittura in braille tutta soggettiva, alla solida ascensionalità del monumento, vicino a Il comando di Bab-El, compatto e vibrante nella sua frontalità, perentoria come una legge arcana. Sono forse loro i silenziosi, ma eloquenti abitanti delle fortezze evocate in Grande Persepoli e nella serie Tra il cielo e la terra…

Il libro della montagna cosmica, La tavola dei destini, Lapis Niger n. 1 e gli analoghi altorilievi incisi su cartone del 2020 sembrano reperti provenienti dal passato più remoto o forse dal futuro, frammenti di un discorso in un linguaggio dimenticato. Il Libro della sala delle 100 colonne appare screpolato dal tempo, usurato da un viaggio da e verso un altrove psichico, simile a un sogno che al mattino non ricordiamo più.

Se è vero che solo mediante la narrazione mitologica l’essere umano primordiale riusciva a contenere il suo sgomento di fronte agli oscuri fenomeni cosmici, agli incomprensibili eventi esistenziali, alle passioni più contraddittorie, analogamente dalle visioni interiori di De Angelis scaturisce una realtà ordinata, portatrice di senso e al di fuori del tempo storico. L’ispirazione muove il pensiero, che si materializza in oggetti che ci ricordano la pregnanza del mito, anche nella nostra quotidianità urbana,  contemporanea e personale.                                                                                                                                        

                                                                                                                                           Lucia Bonazzi


(dal catalogo della mostra personale di Bruno De Angelis:
 
FORTEZZE E PRESENZE DAL MITO

Galleria del Carbone - Ferrara - 2021)