Mario Cancelli
"SKETCHES OF BABILONIA"
“Sketches of Babilonia” * 1) conferma l’orientamento della mostra ravennate “Io verso Persepoli”, non solo perché le opere della prima sala ne ripropongono la suggestione, ma perché la recente produzione di De Angelis appare vessata dalla medesima quaestio.
Se quell’operazione di recupero
di un passato mitico che diveniva personale aveva restituito Bruno all’arte (“Bruno reborn”), ora si può parlare di re-thinking, in quanto l’autore rivisita e passa in rassegna
simboli tanto fascinosi quanto occultanti: pare che sempre più dispotici demoni
organizzativi pretendano di guidare Bruno a un’origine, a un perfetto prima
causante, a un’età dell’oro dalla quale egli non desidera emanciparsi.
In questa mappa, in cui le
istanze sembrano rovesciarsi nelle loro antitesi, sta l’io.
Il costante principio compositivo
della diagonale, vieppiù assalito da un obbligante costruttivismo,
rilascia segnali che tentano di contraddire lo schema espresso: quando De
Angelis sembra rimanere prigioniero di un astratto formalismo, proprio allora
il gioco si rivela inscindibile dall’io.
È così che avviene il passaggio,
non perseguito, ma ormai tipico dell’autore, da un pop in chiave mitica a un
pop in chiave psichica.
Infatti, come si spiega questo
contare di De Angelis sulla forza, anzi sulla prepotenza dei colori primari, se
non come un parlare ad alta voce del proprio indicibile?
Ecco allora il recupero di
simboli antichi come “Lapis Niger” (di cui Bruno potrebbe dire con Flaubert
“Il Lapis Niger c’est moi”), fragile cartone reso monolito a suon di catramina,
oscuro come una legge perduta e chiaro come un sintomo e al contempo traslato
nella consueta drammaturgia dell’arcaico.
L’ onnipresente architetto sumero
sarà allora il legittimo titolare dell’archè o piuttosto il terribile controllore di ogni “discorso” che l’io
promuove, al punto da renderlo illeggibile?
Nelle altre sale, taglienti
verità (“Io e lei”) si articolano
in capitoli narrativi, capaci di eleganti sintesi formali, come la base di “Blues Without you”.
Non è scontato dire che le fatiche qui esposte vanno intese come work in progress, soprattutto perché il guadagno non è solo ciò che salta agli occhi, cioè l’originale ricerca relativa a materiali e forme, ma anche l’emergere in essa di ciò che essa sembra non curare.
*1) Da un brano di Miles Davis
che De Angelis ascoltava lavorando alle opere durante il lockdown.
Settembre 2020
Mario Cancelli